Di apposizione dell’indicazione di provenienza sui prodotti non alimentari si è parlato in Camera di Commercio nel corso del seminario “Stato attuale della disciplina sul ““, anche con l’obiettivo di orientare le scelte delle aziende che vogliano caratterizzare i propri prodotti inserendo un richiamo alla provenienza geografica.

In apertura dell’incontro l’ing. Domenico Signori – consulente in proprietà industriale, partendo da una panoramica delle norme nazionali e comunitarie in materia, ha spiegato che è possibile apporre la dicitura “Made in Italy” su prodotti interamente fabbricati in Italia o che abbiano subito in Italia l’ultima trasformazione sostanziale ai sensi del Codice Doganale Comunitario. A ciò si aggiunge la possibilità di indicare sul prodotto, tramite indicazioni come “100% made in italy” o simili, che esso è interamente realizzato in Italia, ossia che il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento sono compiuti esclusivamente sul territorio italiano.

E’ seguita l’illustrazione, da parte dell’ing. Stefano Gaggia – consulente in proprietà industriale, delle disposizioni della legge “Reguzzoni-Versace”, con la quale si è tentato, nel 2010, di introdurre diverse disposizioni sull’apposizione dell’indicazione di origine per alcune tipologie di prodotti (tessili, della pelletteria e calzaturieri). Di questa legge sono state evidenziate le differenze rispetto alla legislazione comunitaria ed a quella nazionale preesistente, ed in particolare la previsione, per l’apposizione di indicazioni di provenienza, di criteri che potrebbero rivelarsi meno stringenti rispetto alle norme precedenti: non è infatti richiesto, perché il prodotto sia considerato originario dell’Italia, che sul territorio abbia subito l’ultima trasformazione sostanziale, ma solo due su quattro fasi della lavorazione ed è prevista l’applicazione solo ai prodotti finiti e non anche ai prodotti intermedi.

Infine, è stata fornita una panoramica dei concetti di falsa indicazione di provenienza (l’indicazione “made in italy” su prodotti o merci non originari dall’Italia ai sensi del codice doganale comunitario) o di fallace indicazione (l’uso, anche qualora sia indicata la provenienza estera del prodotto, di segni, figure o altro che possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce siano di origine italiana, incluso l’uso fuorviante di marchi aziendali), delle relative sanzioni, anche penali, e delle possibilità di sanare sul piano amministrativo eventuali violazioni.

Dopo una breve illustrazione di alcune decisioni giurisprudenziali in materia di utilizzo di marchi e di indicazioni di provenienza e sull’applicazione delle relative sanzioni, i consulenti, rispondendo alle domande delle imprese presenti, hanno illustrato alcune buone prassi utili ad evitare contestazioni sul legittimo uso di marchi italiani su prodotti per i quali parte del processo produttivo è svolto all’estero ed hanno fornito chiarimenti sulla possibilità di utilizzare indicazioni come “100% made in” o simili, discutendo anche casi pratici posti dalle imprese relativamente ai propri prodotti.

Tratto da vr.camcom.it